Profilo di Fulvio Grimaldi
DI QUESTI TEMPI vado continuando a fare il mio lavoro di giornalista, essenzialmente in rete, e di documentarista, su aree e situazioni di conflitto tra bassotti e altotti, classi deprivate e classi vampire, popoli e imperialismo, antifascisti e fascisti. Mi occupo anche di territorio su pubblicazioni locali. Attivista politico, attualmente cane sciolto uscito dal PRC, partecipo alle mobilitazioni delle sinistre vere sopravvissute e alle lotte contro le devastazioni ambientali e gli abusi amministrativi.
PRIMA ero stato per quattro anni corsivista (rubrica “Mondocane”) e inviato di guerra del quotidiano del PRC “Liberazione”. Ne fui cacciato su due piedi per aver scritto e diffuso cose in dissonanza con il sovrano revisionista del partito (Bertinotti) e la sua corte, eminentemente su Cuba, Palestina, Jugoslavia, Iraq, violenza-nonviolenza. Ho poi vinto la causa di lavoro contro il licenziamento.
ANCORA PRIMA e per sedici anni sono stato redattore e inviato in RAI, prima al TG1 e poi al TG3, dove nei telegiornali e in una rubrica – “Vivere!” – di traino al tg delle 19.00 mi occupavo di ambiente, ecologia, questioni internazionali. Non ho più messo piede in RAI dal giorno del bombardamento Nato e dalemiano su Belgrado, quando ci si disse che dovevamo interpretare quell’inizio della guerra infinita dell’Occidente imperialista e terrorista contro il resto del mondo come “intervento umanitario”. Recatomi in Jugoslavia durante quel conflitto e subito dopo, ho realizzato tre documentari video sulle verità nascoste del conflitto. Contemporaneamente ho inviato corrispondenze a “Liberazione” che venivano in parte cestinate perché divergenti dalla versione dominante nei media dei paesi aggressori. In quegli anni sono stato membro del Comitato Politico Federale del PRC, componente “L’Ernesto”, in continua e durissima polemica con le direzione revisionista, entrista e governista di quel partito.
IN PRECEDENZA erano successe parecchie cose che, camminando a ritroso verso le nebbie della memoria, mi vedono alla fine degli anni ’70 in Yemen, corrispondente dei giornali arabo-inglesi “The Middle East” e “New African” e di alcune testate italiane. Occupandomi della regione che va dal Sudan al Golfo Arabo-Persico, ho avuto modo di conoscere un Iraq moderno, benestante e culturalmente emancipato in tutte le sue componenti sociali, governato da un gruppo di rivoluzionari socialisti (di Stato) che avevano fatto del paese, liberato dai colonialisti britannici nel 1958, immerso nel contesto delle petromonarchie feudali arabe asservite agli anglosassoni e della costante minaccia razzista ed espansionista israelo-iraniana, l’ultimo bastione del movimento laico e progressista per l’unità araba e contro l’imperialismo.
NEL DECENNIO DAL 1968 IN POI ho militato nel grande e, per ora, ultimo movimento che si proponeva la rottura rivoluzionaria con l’esistente. Come direttore responsabile, dal 1972 al 1975 del quotidiano Lotta Continua, facente allora capo al campione del fregolismo italiano Adriano Sofri, ho rimediato 150 processi per reati di stampa che, alla fine, hanno portato a un mandato di cattura (poi ritirato) che mi ha costretto a vivere per un anno a Londra e un altro a Bruxelles. Come inviato di guerra di quel quotidiano, ho fatto conoscere al mondo della contestazione il conflitto irlandese per la liberazione dell’Irlanda del Nord dal colonialismo britannico e dall’oligarchia proconsolare protestante, la questione palestinese e la tentata rivoluzione in Libano. Dall’esperienza irlandese sono nati un lungometraggio sulla resistenza armata e civile e sulla repressione coloniale e due libri: “Un Vietnam in Europa” e “Blood in the street” (in inglese). Il 30 gennaio 1972, a Derry, Irlanda del Nord, sono stato l’unico giornalista testimone della “Domenica di Sangue”, nella quale i parà britannici hanno assalito alle spalle un pacifico corteo di manifestanti e ne hanno ucciso 14. La mia documentazione audio-video della strage, ripresa dalle televisioni irlandesi e poi dai media in tutto il mondo, ha contribuito a smascherare l’assoluta falsità di una sistema mediatico che incominciava allora a uniformarsi e corazzarsi al servizio dei poteri costituiti e dei loro crimini. Esperienza che ha determinato una presa di coscienza sul sistema politico-mediatico che mi sarebbe venuta utile per sempre.
NEI PRIMI ANNI’70, lasciato il quotidiano romano “Paese Sera”, del PCI, per divergenze sulla valutazione del movimento 1968-1977, ho lavorato da libero professionista e inviato di guerra per i settimanali “Giorni-Vie Nuove” e “ABC” “Nouvel Observateur”. Le aree coperte erano essenzialmente il Medio Oriente, l’Africa, le isole britanniche, con particolare attenzione ai tentativi di ritorno del colonialismo sconfitto e alle evoluzioni sociali e politiche. Fin da allora ebbi modo di denunciare la cospirazione, a partire dalle tribù cattoliche e animiste del Sud, delle potenze coloniali (Israele, Usa, GB, Vaticano, Germania, Francia) per destabilizzare il governo antimperialista del Sudan e balcanizzare il paese, cospirazione che oggi ha per epicentro il Darfur e la parallela demonizzazione dei governanti sudanesi, colpevoli di sovranità, autonomia e risorse minerarie non svendute all’Occidente.
DALL’INVERNO ALL’ESTATE DEL 1970 ho militato in Giordania, insieme ad altri giovani stranieri, nel Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, tra le unità combattenti nella Valle del Giordano, esperienza ampiamente riferita in reportage su “Giorni-Vie Nuove” e che ebbe termine con il massacro del “Settembre Nero” allestito dal fantoccio reale di Giordania, Hussein, per conto di Israele e del colonialismo occidentale.
UN PASSO INDIETRO ci porta all’inizio effettivo del mio lavoro giornalistico, quando vinco un concorso della BBC e vado a lavorare a Londra alla radio di quell’emittente, con un contratto di cinque anni. Straordinaria scuola di professionalità, neanche sognata nei media italiani, la BBC mi insegna a occuparmi dell’universo mondo, dalla politica allo spettacolo, dall’economia al sociale, dallo sport alla cultura, dagli animali a tutta la natura.
Il che facilita anche una nuova attività di corrispondente da Londra per testate così diverse come “Panorama”, “Paese Sera”, “ABC” e “Gazzetta dello Sport”. Una mia intervista a Muhammad Ali (Cassius Clay), a primi ministri italiani, a Vanessa Redgrave, a Sean Connery, ai leader del TUC (sindacato), rivela il livello al quale si lavorava. Dal pieno dell’ebbrezza della “swinging London” opportunamente mi strappa “Paese Sera” nel giugno del 1967, quando mi chiede di precipitarmi in Palestina-Israele per la GUERRA DEI SEI GIORNI. E’ l’inizio del lavoro di inviato di guerra e, in particolare, del mio coinvolgimento nella questione mediorientale, centro, insieme al Vietnam, da decenni e per i successivi decenni del più drammatico conflitto nel mondo e della prima pulizia etnica su vasta scala, finalizzata a sradicare la resistenza palestinese al proprio genocidio e a impedire la rinascita di una nazione araba, dall’Atlantico al Golfo, da poco liberatasi dal dominio coloniale Al rientro, “Paese Sera” mi chiede di non tornare a Londra e restare nella redazione romana. Rientrerò a Londra solo nel 1973, in esilio, e poi nel 1979, come caporedattore di “The Middle East”.
QUELLO CHE E’ SUCCESSO PRIMA si racconta in quattro e quattrotto. Prima di sfondare ne giornalismo da sempre sognato, ho lavorato per sei anni negli uffici stampa delle case editrici “Mondadori”, “Bompiani” e “RCA Discografica”, e in alcune agenzie pubblicitarie in Italia, Inghilterra e Svizzera, guadagnandone qualche utile nozione di comunicazione grafica, lontanissima dal cialtroname pubblicitario di oggi. L’università, giurisprudenza ahimè, l’ho fatta a Genova, ahimè con i boss democristiani Lucifredi, Bo e Taviani. Nei dieci anni di adolescenza ho vissuto a Nervi (Genova), dove ho fatto il liceo classico nel clima di Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Cesare Pavese, Elio Vittorini, Italo Calvino, Dino Buzzati, che tutti, tranne il prematuramente scomparso Pavese, ho avuto il privilegio di conoscere. Ho anche studiato Germanistica alle università di Monaco di Baviera e Colonia, con Thomas Mann.
INFANZIA TRA FIRENZE, NAPOLI, GERMANIA. Nato chissà quando a Firenze, i miei si sono trasferiti a Napoli (scuola elementare a Marechiaro). Per i bombardamenti alleati, mentre mio padre veniva richiamato sotto le armi, il resto della famiglia si trasferisce in Germania dove, dopo l’8 settembre, venendo da un paese oramai nemico, viene posta al domicilio coatto in un felice paesino dell’Alta Baviera (Medie inferiori). La “specializzazione” in questioni di guerra, di lotta e di morte inizia qui, quando, richiamati al fronte tutti i maschi dai 14 ai 65 anni, noi bambini diventiamo “Soccorso Civile”, incaricati di spegnere gli incendi da bombardamenti e raccogliere morti e feriti. Il rientro in Italia ci viene consentito dagli occupanti Usa solo un anno dopo la fine della guerra, per avere io, con altri due ragazzetti, sparato con una mitragliatrice contro la prima colonna di carri armati in arrivo nel borgo. Ci viene anche negato il supplemento di tessera annonaria riservata agli stranieri costretti dalle autorità naziste in Germania. I miei mi perdonarono. Il perdono degli americani non è stato dichiarato e sarebbe stato respinto.
DIMENTICAVO. Gira e rigira in quell’ epoca grandiosa del secolo scorso, per l’Italia la migliore dalla Resistenza partigiana, quella della rivolta contro quasi tutto e quasi tutti negli anni ’60 e ’70, prima del decisivo “tradimento dei chierici” , ho bazzicato anche altri arti e mestieri: teatro di strada con Gianmaria Volontè, composizione di canzoni rivoluzionarie, la partecipazione in alcune pellicole di forte significato politico come “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri. Lì mi è venuta utile la scuola di recitazione fatta a Milano, al Piccolo, ai tempi dell’impiego alla Mondadori. Se interessa, ho due figli e ho avuto tre mogli. L’ultima è dal 1979 la mia più stretta collaboratrice a tutti i livelli. Si chiama Sandra. Una presenza determinante.